Trentasette
anni di folklore, tradizioni, musica, popoli e culture, amicizia....
Cambiando il numero degli anni, è questo lo slogan che ci accompagna
da tempo. Come abbiamo detto più volte, quando – il 3 marzo del
1976 – la nostra Associazione ha iniziato a muoversi nel mondo del
folklore, nessuno pensava di andare oltre due-tre mesi di attività.
Il nostro progetto prevedeva l'allestimento di uno spettacolo
semplice ma che, alla metà degli anni Settanta dello scorso secolo,
era molto innovativo per la nostra comunità: oltre cinquanta bambini
e giovani adolescenti impegnati in un'esibizione folkloristica. Di
mesi e di anni ne sono passati tanti, l'Associazione è cresciuta e
ormai iniziamo il nostro trentottesimo anno di impegni.
Molto
spesso ci viene chiesto il significato del nome Onnigaza;
cogliamo l'occasione per spiegarlo brevemente.
Onnigaza
è un toponimo, la parte del territorio ghilarzese che dalla
periferia del paese arriva a ridosso della strada statale 131
Abbasanta-Nuoro. Il nome viene dal medioevale donnicalia,
termine che indicava la
tenuta agricola di un signore (donnu),
composta da terreni, edifici, servi. La professoressa Maria Manconi
Depalmas, studiosa di storia locale, non esclude che, nel XII,
mercanti genovesi abbiano sviluppato in questo sito un centro
commerciale, favoriti dalla felice posizione al centro di importanti
vie di comunicazione del tempo.
Oltre
al toponimo, nella memoria della comunità ghilarzese sono rimaste
storie e canti che narrano delle donne di Onnigaza; nelle narrazioni
popolari sono donne spesso derise, per la loro ricchezza, forse
falsa oppure irraggiungibile.
Ecco
uno di questi racconti.
Contaiant in bidda ca,
in tempus antigu, in Onnigaza biviant fèmminas chi ddi naraiant 'sas
sennoras de Onnigaza'. Biviant in domos mannas medas, fatas comente
sos nuraches. Andaiant a Missa a su cunventu de sos paras de Bureco.
Sos paras non cumintzaiant sa missa fintzas a cando no arribaiant
issas e s'intendiat cando fiant arribande ca sos bestires de seda chi
zughiant faiant sonu. Si bestiant fintzas de linu e pannu chi
tessiant issas etotu e ricamaiant sos bestire cun filos colorados chi
filaiant issas. In conca zughiant unu cambussinu cun nastros e in
pitzu unu mucadore biancu. Pro samunare s'orroba no usaiant sabone ma
crivazu. Su traballu issoro fuit a filare, a tèssere e a ricamare.
Teniant tesoros mannos chi cuaiant in suta de su panimentu de sas
domos ma papaiant erbas de su sartu.
Si
narrava a Ghilarza che, parecchio tempo fa, nella località
denominata Onnigaza, vivevano le 'signore di Onnigaza'. Vivevano in
case molto grandi, fatte come i nuraghi. Andavano al convento dei
frati di Bureco per ascoltare la messa. I frati non iniziavano la
celebrazione prima del loro arrivo, annunciato dal fruscio dei loro
abiti di seta. Vestivano anche di lino e panno che tessevano loro
stesse e ricamavano i loro abiti con fili colorati che filavano loro.
Sul capo portavano una cuffia con nastri colorati e sopra un
fazzoletto bianco. Per lavare la biancheria e gli abiti non usavano
sapone ma cruschello. Il loro lavoro era quello di filare, tessere e
ricamare. Possedevano grandi tesori che nascondevano sotto il
pavimento delle loro case ma si nutrivano di erbe che raccoglievano
nei campi.
Questa
leggenda è stata riportata anche da Gino Bottiglioni in Leggende
e tradizioni di Sardegna : testi dialettali in grafia fonetica,
Olschki, 1922.
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