domenica 3 marzo 2013

3 marzo 1976


Trentasette anni di folklore, tradizioni, musica, popoli e culture, amicizia.... Cambiando il numero degli anni, è questo lo slogan che ci accompagna da tempo. Come abbiamo detto più volte, quando – il 3 marzo del 1976 – la nostra Associazione ha iniziato a muoversi nel mondo del folklore, nessuno pensava di andare oltre due-tre mesi di attività. Il nostro progetto prevedeva l'allestimento di uno spettacolo semplice ma che, alla metà degli anni Settanta dello scorso secolo, era molto innovativo per la nostra comunità: oltre cinquanta bambini e giovani adolescenti impegnati in un'esibizione folkloristica. Di mesi e di anni ne sono passati tanti, l'Associazione è cresciuta e ormai iniziamo il nostro trentottesimo anno di impegni.

Molto spesso ci viene chiesto il significato del nome Onnigaza; cogliamo l'occasione per spiegarlo brevemente.

Onnigaza è un toponimo, la parte del territorio ghilarzese che dalla periferia del paese arriva a ridosso della strada statale 131 Abbasanta-Nuoro. Il nome viene dal medioevale donnicalia, termine che indicava la tenuta agricola di un signore (donnu), composta da terreni, edifici, servi. La professoressa Maria Manconi Depalmas, studiosa di storia locale, non esclude che, nel XII, mercanti genovesi abbiano sviluppato in questo sito un centro commerciale, favoriti dalla felice posizione al centro di importanti vie di comunicazione del tempo.

Oltre al toponimo, nella memoria della comunità ghilarzese sono rimaste storie e canti che narrano delle donne di Onnigaza; nelle narrazioni popolari sono donne spesso derise, per la loro ricchezza, forse falsa oppure irraggiungibile.

Ecco uno di questi racconti.
 
Contaiant in bidda ca, in tempus antigu, in Onnigaza biviant fèmminas chi ddi naraiant 'sas sennoras de Onnigaza'. Biviant in domos mannas medas, fatas comente sos nuraches. Andaiant a Missa a su cunventu de sos paras de Bureco. Sos paras non cumintzaiant sa missa fintzas a cando no arribaiant issas e s'intendiat cando fiant arribande ca sos bestires de seda chi zughiant faiant sonu. Si bestiant fintzas de linu e pannu chi tessiant issas etotu e ricamaiant sos bestire cun filos colorados chi filaiant issas. In conca zughiant unu cambussinu cun nastros e in pitzu unu mucadore biancu. Pro samunare s'orroba no usaiant sabone ma crivazu. Su traballu issoro fuit a filare, a tèssere e a ricamare. Teniant tesoros mannos chi cuaiant in suta de su panimentu de sas domos ma papaiant erbas de su sartu. 

Si narrava a Ghilarza che, parecchio tempo fa, nella località denominata Onnigaza, vivevano le 'signore di Onnigaza'. Vivevano in case molto grandi, fatte come i nuraghi. Andavano al convento dei frati di Bureco per ascoltare la messa. I frati non iniziavano la celebrazione prima del loro arrivo, annunciato dal fruscio dei loro abiti di seta. Vestivano anche di lino e panno che tessevano loro stesse e ricamavano i loro abiti con fili colorati che filavano loro. Sul capo portavano una cuffia con nastri colorati e sopra un fazzoletto bianco. Per lavare la biancheria e gli abiti non usavano sapone ma cruschello. Il loro lavoro era quello di filare, tessere e ricamare. Possedevano grandi tesori che nascondevano sotto il pavimento delle loro case ma si nutrivano di erbe che raccoglievano nei campi.

Questa leggenda è stata riportata anche da Gino Bottiglioni in Leggende e tradizioni di Sardegna : testi dialettali in grafia fonetica, Olschki, 1922.


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